Pettegole

Vestire gli ignudi

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Nel racconto del  libro della Genesi la nudità e la consapevolezza di essa rappresentano la presa di coscienza del limite e dell’infermità della creatura umana. «Si  aprirono allora gli occhi  di ambedue  e  scoprirono di  essere nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne  fecero delle cinture» (Gn 3,7). I  “pro-genitori” si scoprono vulnerabili. Provano a porvi rimedio con effimere foglie di fico, divenute perciò proverbiali. Il testo prosegue: «Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna delle tuniche di pelli e li vestì» (Gn 3,21). Vestire  i due ignudi è  dunque l’atto primordiale  di Misericordia che Dio opera verso le sue creature.

Vestirsi/spogliarsi: i due verbi indicano certamente l’indossare le vesti o il dismetterle. Ma indicano anche in modo figurato la rappresentazione di  me che intendo dare all’altro, lo svelamento, il mettermi a nudo oltre ogni possibile e plausibile remora.

LogoGiubileoMisericordiaL’essere umano culturalmente non ama la nudità, e non solo perché il suo corpo fragile esige copertura. Più spesso  il vestire  esalta  il corpo, sottolinea questa o quella parte  così suscitando l’attenzione dell’altro – si tratti di curiosità o, il che le è prossimo, di desiderio. E  non a  caso si tratta di un’arte, la mettano in opera i nostri blasonati stilisti o gli sciamani e le sciamane.

Vestirsi è certamente anche una necessità a certe latitudini. Ma sottolineare il corpo senza nasconderlo è un obbligo là dove le vesti non soccorrono dinanzi alle intemperie, ma piuttosto esprimono quel bisogno di bellezza, anche artefatta o aggiunta, che piume, perle  ed erbe intrecciate possono  e sanno dare.

Nell’antica cultura mediterranea la nudità o l’esiguità delle vesti appartenevano all’intimità. Ci si copriva uscendo dalla propria casa e la veste indicava di certo lo stato sociale, ma, soprattutto al femminile, riparava anche dagli sguardi indiscreti. Più in generale riparava dal freddo, ma per ciò stesso indicava una condizione di privilegio.

L’essere lacero e ignudo è dunque condizione indigente e umiliante, tanto che il porvi rimedio diventa merito decisivo nella rappresentazione del Giudizio presentata da Matteo nel Capitolo 25 del suo Vangelo. Gesù invita a ricevere il premio promesso quanti, appunto, hanno vestito la sua nudità. E poiché lo si interroga sul quando ciò sia avvenuto, risponde: «In verità  io vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Il gesto misericordioso dell’inizio, il venire incontro alla fragilità, al pudore, alla dignità dell’altro diventa insomma rappresentazione dei valori del Regno. Gesù stesso d’altra parte ha fatto proprio il limite della creatura. Infante, è stato avvolto in fasce. Processato, ha subito l’infamia d’essere denudato per la flagellazione prima, per la crocifissione poi, e totalmente.

Coprire la nudità, insomma, è nostro dovere, tutt’uno con il riconoscimento del valore, della dignità, dell’altro, uomo o donna che sia, vecchio o giovane, malato o sano. E, oltre alla nudità, che pure va coperta, vestire gli ignudi come opera di Misericordia per noi deve significare anche altro. Infatti, nell’obbligato rispetto delle culture, non siamo tenuti a ricoprire a viva forza quanti si vestono diversamente da noi e che a torto ci appaiono nudi; né al contrario abbiamo il diritto di spogliare per il nostro tornaconto quanti e quante schiavizziamo, mercificando il corpo.

Credo che il vestire gli ignudi debba essere metafora dell’impudenza insipiente con cui ad esempio invadiamo, violandola, la sfera altrui, la riservatezza cui ciascuno ha diritto, il pudore dovuto. È  il sacrilego uso degli altri che a mio parere è sotteso al vestire gli ignudi. E tuttavia non lo si può circoscrivere – come pure facciamo – alla sola sfera dei peccati sessuali. Non minore sozzura è la calunnia, ad esempio. Né minore impatto ha il rubare, il togliere  agli  altri quanto loro appartiene.GiottoSanMartino

Vestire gli ignudi come attribuzione a ciascuno della sua dignità è dovere civile e religioso, soprattutto in un tempo come il nostro in cui sembriamo essere obbligati a trasformarci in guardoni o ad alimentare  il pettegolezzo più becero e indecente, così mettendo a nudo, per il solo gusto di farlo, l’intimità dell’altro. Non mi pare che come Chiesa prendiamo seriamente le parti dei tanti violati, dei tanti esposti alla curiosità della prima pagina di tanti media che “si cibano” dell’intimità delle  persone. Eppure avremmo il dovere di andare un po’ oltre le nudità conclamate, legate al sesto comandamento, per denunciare l’indifferenza crescente, il vilipendio di Dio operato nelle creature, nelle persone, negli animali e nelle cose . Paghi di ciò che  arraffiamo, ci mostriamo insensibili a ciò di cui spogliamo gli altri, la vita stessa talora, e non solo in senso metaforico.

Insomma, vestire gli ignudi implica anche il rispetto degli altri, il non uccidere, il non usare violenza in qualsiasi forma, il non rubare, il non testimoniare il falso, il non far proprio ciò che appartiene ad altri per diritto.

Troppo semplice ricondurre quest’opera di Misericordia al rinnovamento annuale del proprio guardaroba, atto di egoistica utilità più che d’amore vero verso il prossimo. Troppo semplice mettersi in pace la coscienza con gesti pure caritatevoli, senza prendere atto che quest’umanità povera e ignuda che crediamo di soccorrere non è tale per sua scelta, ma perché così la vuole il nostro egoismo. Troppo semplice pensare di non essere complici di quel peccato collettivo che cresce, e cresce proprio nell’intreccio dell’ignorare quanto dovuto a Dio e agli altri.

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Febbraio 2016 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

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