Particolare da Le Nozze di Cana di Giotto di Bondone

La Misericordia non è un optional

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Che cosa sono e da dove vengono le “opere di Misericordia”? Come sono entrate a far parte del tesoro della Chiesa? Quali sono le loro radici?

Un primo dato attira immediatamente la nostra attenzione: esse non risultano direttamente elencate nei Vangeli, soprattutto se prendiamo in considerazione quelle cosiddette “spirituali”. A ragione le si è viste come un frutto di plurisecolare sedimentazione delle Scritture nel buon vivere cristiano: magari sviluppato nei circoli della vita monastica,  quelli cioè nei quali non ci si sceglie mutuamente e dunque risulta più faticosa l’accoglienza a vita dell’altro, così sempre diverso da noi.

Affrontare il tema delle opere di Misericordia significa cercare di non far rimanere solo una indicazione esortativa l’invito a seguire fedelmente i grandi, grandissimi nodi oggi per noi costituiti dal mangiare, bere, vestire, ricevere, visitare, consigliare/insegnare, ammonire, consolare, perdonare, pazientare. Potrebbero rimanere infatti solo oggetto di un accalorato invito di tipo catechistico/esortativo senza diventare indicazioni concrete di vita.

LogoGiubileoMisericordiaQueste indicazioni oltre ad esigere un di più di attenzione e di impegno, ci chiamano in causa come cittadini del mondo e proprio per questo, alla fine, disegnano la credibilità della proposta cristiana nella sua radicalità concreta.

Tanto più che non si tratta di far “opere di bene”, ma di riconoscere piuttosto una serie di diritti nativi che appartengono ad ogni essere umano  per diritto inalienabile. Ed è proprio il caso di dirlo: si tratta di cose di fatto negate dal mondo di oggi, che antepone a tutto il proprio singolare tornaconto che diventa il centro di ogni scelta.

Potremmo correre il rischio di soffermarci troppo sul termine “opera”, sin troppo evidente nella concretezza di azioni che sottintende. Piuttosto dirigerei la nostra attenzione al termine “Misericordia”: ciò che manca al mondo d’oggi è infatti la percezione diffusa e solidale della Misericordia. Si tratta, prima ancora di coglierne la traduzione  concreta, di un atteggiamento della persona che guarda all’altro sulla linea del compartirne l’esistenza e dunque i problemi.

Misericordia – lo sappiamo dall’etimologia – mette insieme il verbo misereor (ho compassione/ho pietà) e il termine cor. In senso stretto, dice dunque il volgersi del cuore, biblicamente inteso come centro della persona e della sua capacità di aprirsi all’altro (e perciò di amare), verso l’indigenza dell’altro, verso il suo mancare di qualcosa. Divento solidale con il suo limite, lo risano, nella corrente affettuosa che me lo rende caro, amico, fratello. Senza la dinamica del farsi carico, dell’assumere l’altro come proprio bene, non può esserci misericordia. Essa poi appartiene propriamente a Dio, con un chiaro riferimento alle viscere, e cioè degli organi femminili preposti all’accoglienza della vita, non per chiuderla, ma per separarsene, accompagnandola  sino a che divenga autosufficiente.

Non si tratta, dunque, di un operare aggiuntivo. Si tratta, da cristiani, dell’operare alla maniera di Dio stesso, della sua compassionata estroversione che mai abbandona la creatura, ma la accompagna solidale sino a compartirne la carne e con essa la morte. Giovanni XXIII in un discorso da lui indirizzato ai “Delegati delle Opere di Misericordia di Roma” il 21 febbraio 1960 parla di un suo lavoro, cinquant’anni prima, su «La Misericordia Maggiore di Bergamo e le altre istituzioni». nel quale affermava che la: «sola enunciazione [delle opere di Misericordia] basta a richiamare gli uomini agli ideali più alti della vita, a purificazione dei costumi, a fraternità operante ed edificante». Più avanti cita un’omelia, addirittura di Innocenzo III che, commentando il vangelo di Cana, afferma: «Se l’opera di Misericordia non è accompagnata dal sentimento di carità, solleva, è vero, colui che la riceve, ma non è di profitto a chi la compie. E perciò allora è solo acqua e non vino […]. Diversamente, se la Misericordia ha origine dalla carità, allora l’acqua si converte in vino».

La gratuità che  sta alla base del miracolo di Cana, ci suggerisce che il cristiano debba andare oltre il dovuto.PieroDellaFrancescaMadonnaMisericordia

Quindi a fare la differenza sono la cordiale assunzione dell’altro e il conseguente riconoscimento del suo diritto come origine stessa del mio. Ciò che voglio per me, devo volere per l’altro. L’umanità non conosce destini paralleli. Siamo inestricabilmente legati gli uni agli altri. La Misericordia è nient’altro che la presa d’atto di questa originaria comunione. Per noi cristiani, ovviamente, la cementa lo Spirito di Dio, la cui presenza cambia l’acqua in vino.

Ma la Misericordia ha anche un’ulteriore dimensione. È l’espressione di una simpatia solidale che si antepone a tutto. È un nuovo modo di agire della Chiesa conciliare che rinuncia alla condanna per mostrare, al suo interno come al suo esterno, una sollecitudine più costruttiva e producente.

«Ora tuttavia la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della Misericordia piuttosto che della severità». Davvero profetiche queste parole dell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia con la quale Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. Come non ricordarle? Come non recepirle? E come non chiedersi se ne abbiamo fatto inequivocabilmente e definitivamente uno “stile” ecclesiale?

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Novembre 2015 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *