Papa Francesco e don Lorenzo Milani di Giampiero Puliti

Segno di contraddizione

Sabato 27 Maggio viene distribuito il numero di Giugno del Giornalino Parrocchiale “In Cammino” (scaricabile a questo link: Maggio 2017 Anno XXXI Numero 6).

In questo numero:

  • Segno di contraddizione
  • Facciamo Silenzio
  • Adorazione del Venerdì in cripta
  • Festa della famiglia
  • Orari estivi

Di seguito l’articolo di apertura:

Segno di contraddizione

Chi ha un minimo di dimestichezza con le notizie che provengono dal Vaticano sa che la sala stampa vaticana pubblica il proprio “bollettino” alle 12.00 di ogni giorno. Il 24 aprile scorso il “bollettino” ha annunciato con linguaggio scarno: “Pellegrinaggio del Santo Padre Francesco a Bozzolo (diocesi di Cremona) e a Barbiana (diocesi di Firenze).

Con un gesto inaspettato il Papa ha deciso di andare a rendere omaggio a due Sacerdoti pregando sulla loro tomba. A Bozzolo, un piccolo centro in provincia di Mantova, sulla tomba di don Primo Mazzolari e a Barbiana sulla tomba di don Lorenzo Milani.

Se Bozzolo è un piccolo centro, Barbiana non è nemmeno questo. Una chiesa isolata sulle pendici del monte Giovi con qualche casa sparpagliata nei pressi.

Ma questo luogo, altrimenti destinato ad essere conosciuto da pochi, ha assunto con gli anni una particolare notorietà ed è diventato molto conosciuto (e visitato) perché ha visto gli ultimi anni di vita e l’azione pastorale di don Lorenzo Milani.

Sono sicuramente un prete (e un uomo) di una epoca molto diversa da quella di don Lorenzo. Non ho vissuto il suo mondo e non ho certo potuto conoscerlo di persona: sono nato solo 6 mesi prima che morisse. Ma negli anni della mia prima gioventù e della formazione in Seminario tante volte sono “salito” a Barbiana e ho avuto il desiderio di leggere (in un periodo giovanile quasi in maniera “vorace”) tutto quello che sono riuscito a trovare scritto dal “Priore”, come tanti lo chiamano nelle numerosissime lettere pubblicate.

La figura di don Lorenzo è complessa.

In tanti e molto più famosi e importanti di me hanno tentato di farne una sintesi e a delinearne l’opera e la personalità. Ritengo che non sia un compito affatto facile. Quello che ci resta della opera pastorale di don Lorenzo e della sua vicenda umana ha aspetti complessi che possono portare a diverse e contrapposte interpretazioni e, contemporaneamente, suscitare plausi (a volte eccessivi) e critiche (a volte ingenerose).

Probabilmente la chiave di lettura della propria testimonianza ce la da proprio don Lorenzo in un passaggio di una lettera a don Renzo Rossi del 6 gennaio 1956: “… son giunto alla conclusione che sia mia specifica missione non il distribuire pensieri prefabbricati ai preti, ma solo turbarli e farli pensare. Questa missione di conturbatore di coscienze ha il vantaggio di comportare pochissime responsabilità e perciò ben si addice alla mia giovane età”. Don Lorenzo era ormai da un paio di anni a Barbiana, aveva 30 anni.

Leggere (e rileggere) don Lorenzo mi ha sicuramente fatto pensare molto e ha fatto pensare tanti. Preti e laici. Voglio allora dare la mia testimonianza, attraverso alcune parole chiave che riporto in ordine sparso e che a mio parere condensano un po’ la sua esperienza.

Lo farò anche utilizzando qualche breve citazione da un libro che riporta “schegge” di ricordi di Adele Corradi (Adele Corradi, Non so se don Lorenzo, Feltrinelli, 2012). La Corradi, giovane insegnante coetanea di don Milani, ha partecipato attivamente alle attività della Scuola di Barbiana tra il 1963 e il 1967 (anno della morte di don Lorenzo) e ha condiviso il percorso di “costruzione/redazione” di Lettera a una Professoressa. L’ultima, e forse la più famosa “opera” prodotta dalla Scuola di Barbiana e conclusa quando ormai il male che aveva colpito don Lorenzo (morbo di Hodgkin) era ormai giunto alle sua fase terminale.

Scuola

Una cosa che ha attraversato tutta la vita di don Milani è stato il suo desiderio di fare “scuola” ai ragazzi. Fin da subito quando neo-ordinato fu “appoggiato” per un periodo alla parrocchia di Montespertoli, poi a Calenzano e, soprattutto, a Barbiana.

Ma la “scuola” non era intesa da don Lorenzo esclusivamente come occasione di formazione / educazione ma anche come elemento di crescita e promozione sociale. La scuola come opportunità di poter formare persone responsabili e capaci di intendere e relazionarsi con il mondo circostante.

Il suo impegno per dare a tutti la possibilità di capire gli avvenimenti mondiali, la politica, la liturgia, la narrazione dei Vangeli per vivere una fede che non fosse solo “dogma” ma percorso accompagnato dalla comprensione e dal ragionamento. Provava una profonda sofferenza, per le manifestazioni di fede fatte da una ritualità non “compresa” ma solo ripetuta.

A questo proposito ci illumina un ricordo della Corradi:

Eravamo noi tre soli [don Lorenzo, Adele Corradi e Eda Pelagatti – la perpetua NdR], dopo cena, tranquilli. Si stava bene: l’Eda seduta al tavolo, io di fronte a lei, don Lorenzo sulla poltrona di vimini vicino alla cappa del camino. L’Eda aveva una voce bellissima,  di contralto, credo, profonda e intonata.

Chiesi che mi cantasse In Paradisum deducant te Angeli [un canto gregoriano utilizzato nella celebrazione delle esequie – NdR] e lei si mise a cantare.

Io ascoltavo “incantata” da quella voce e da quelle parole “…in tuo adventu suscipiant te Martires…”.

Ma don Lorenzo a un tratto, bruscamente: “Smetta Eda!” la interruppe… era quasi un grido…

Mi voltai stupita. Ma non era arrabbiato. La guardava addolorato. E infatti: “Mi fa pena,” disse, “non capisce… canta senza capire…”. (p. 11)

La scuola è anche il luogo che lega don Lorenzo ai suoi “ragazzi” verso i quali vive una dedizione e un legame fortissimi. Testimonianze ci mostrano come il legame con loro fosse così radicato da rasentare atteggiamenti gelosi e possessivi. La Corradi ricorda una risposta secca e stizzita ricevuta dal Priore a una sua osservazione provocatoria:

“Don Lorenzo, se qui vicino venisse a stare un altro prete e i ragazzi incominciassero ad andare da lui invece che venir qui, cosa farebbe lei?”

“Farei alle fucilate!”

“E se fosse più bravo di lei?”

“Farei alle fucilate! I ragazzi son miei! Bravo o ciuco, se me li portasse via, farei alle fucilate!” (p. 94).

Don Lorenzo in quei ragazzi aveva trovato i “poveri”, i “suoi” poveri e aveva fatto della “promozione umana” di quei poveri il centro stesso della sua vita che si svolgeva nella parrocchia di Barbiana dove era stato trasferito. Una parrocchia isolata e destinata alla chiusura, di sole 127 anime.

La testimonianza chiara della lucida consapevolezza del legame fortissimo con i suoi ragazzi don Lorenzo la lascerà nel suo testamento:

“Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non sia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto a suo conto”.

Cittadinanza

Sicuramente la azione educativa di don Lorenzo ha un accento di assoluta “modernità” nella attenzione a voler formare dei “cittadini”. E la sua modernità sta nell’identificare la povertà dei suoi ragazzi non solo nella povertà concreta da cui sono afflitti (che sarebbe meglio definire miseria) ma anche nella povertà culturale che li blocca in uno stato di sudditi, impossibilitati a vivere in pienezza quella cittadinanza a cui ha diritto ogni uomo.

Questa chiara consapevolezza fu probabilmente l’origine principale dei forti contrasti con la gerarchia ecclesiastica e con il mondo politico. Le intersezioni tra educazione scolastica, religiosa e la cittadinanza generarono contrasti ma sono probabilmente anche le intuizioni più luminose di una opera educatrice “globale” che ancora oggi è per certi versi attuale.

Tutto questo significativamente concentrato in quel motto “I care” (mi interessa, mi preme) che campeggia ancora nell’aula di Barbiana e che si contrapponeva in maniera netta al “me ne frego”.

Per don Lorenzo un bravo Cristiano doveva essere necessariamente anche un bravo cittadino e un attento osservatore dei fenomeni politici e sociali, capace di andare oltre gli schemi politici preconfezionati che così tanto schieravano il mondo cattolico di quegli anni.

Obbedienza

È una parola che torna frequente nella vita di don Lorenzo. La dovuta “obbedienza” verso i superiori ecclesiastici e quella “obbedienza” che non è più “virtù” che nella Lettera ai Cappellani Militari lo fa diventare protagonista di processo per apologia di reato.

Don Lorenzo potrebbe passare per un prete “disobbediente” ma non è affatto così. Sicuramente burbero, umorale,  a volte quasi irriverente (una buona percezione di questo si ha leggendo il libro della Corradi) ma che fa del suo essere “obbedientemente parte della Chiesa” un punto imprescindibile della sua esperienza di cristiano e di Sacerdote. Scrive a padre Reginaldo Santilli il 10 ottobre 1958:

“Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”.

Profezia

È profeta chi annuncia verità che non vengono ascoltate da chi gli vive accanto. È profeta chi si trova a annunciare verità scomode che non solo non sono accolte e che gli fanno guadagnare incomprensione e a volte persecuzione. Penso che don Milani in questo senso possa proprio essere considerato un profeta.

Il suo modo di vivere il Vangelo, forse per alcuni versi anch’oggi eccessivamente “laico” – immaginiamoci per l’epoca in cui vive – , ci lascia una testimonianza che fa intravedere un Cristo che è “segno di contraddizione” (cfr Lc 2,43). Una contraddizione davanti alla quale don Lorenzo ha messo il mondo che lo circondava.

Tutto il mondo, senza distinzioni: la società la politica e la Chiesa e anche la sua vita – lui proveniente da una famiglia benestante – che sembra quasi non essersi mai perdonato fino in fondo un’origine così poco “evangelica”.

Chi ha incontrato don Lorenzo racconta che negli ultimi giorni di vita il suo più grande cruccio fosse stato quello di avere il dubbio di morire in non completa comunione con la Chiesa. Ma aveva anche la convinzione che aver lavorato per quella Verità in cui credeva fermamente, e alla quale aveva donato tutta la sia vita, avrebbe avuto un seguito.

La Corradi ci racconta un episodio avvenuto a Barbiana nella primavera del 1967.

Era ormai primavera. Ed erano quasi nove mesi che si lavorava sulla Lettera [a una professoressa – NdR].

Ma ancora non era finita e ogni tanto affiorava la tensione.  Perché la malattia avanzava.

E il tempo si faceva sempre più breve. Bisognava fare in fretta.

Ma una mattina, i ragazzi si erano appena alzati dal tavolo dove si lavorava e c’ero solo io in camera di don Lorenzo, in piedi accanto al tavolo, perché anch’io stavo per andarmene: “Non ho paura,” disse a un tratto, e mi fermai.

Di cosa non aveva paura?, mi domandai ascoltandolo senza guardarlo.

“Non ho paura di non fare a tempo a dire tutto quello che mi rimane da dire… Non importa che io lo dica… La verità si fa strada da sola.” (p. 140)

Aggravandosi la sua condizione di salute don Lorenzo viene trasferito nella casa materna in Via Masaccio dove muore il 26 giugno 1967, a 44 anni.

Viene però, per sua volontà, sepolto nel piccolo cimitero di Barbiana con indosso la veste Talare e gli scarponi da montagna.

Quel piccolo cimitero dove 50 anni dopo il 20 giugno 2017 sosterà in preghiera Papa Francesco… la verità, la Verità del Vangelo, si fa strada da sola…


don Simone

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