Particolare da San Tommaso Moro incontra sua Figlia dopo la Sentenza di Morte di William Frederick Yeames

San Thomas More

martire (1478-1535)

22 giugno

Prima che la scure gli staccasse di netto la testa, Tommaso Moro, rivolto al carnefice, disse:

«Pregate Iddio per il re, che lo illumini e lo ispiri».

Quel re si chiamava Enrico VIII, del quale Tommaso era sempre stato amico e suddito fedele, occupando posti di grande importanza. Ma era proprio per una disposizione del re che egli chiudeva in modo così drammatico la propria vita. Che cos’era successo? La vicenda è del tutto simile a quella che aveva travolto alcuni giorni prima un altro santo d’Inghilterra, il vescovo Giovanni Fisher.

Enrico VIII era stato per un tratto di tempo un buon re, e aveva esaltato in un suo libro i sacramenti cattolici contro le «assurde novità» di Martin Lutero, meritandosi per questo il titolo di «difensore della fede», e una rosa d’oro inviatagli dal papa.

Ma poi sulla sua strada comparve un’avvenente dama di corte, Anna Bolena, che gli fece perdere la testa. Enrico decise allora di sposarla, ma aveva già una moglie, Caterina d’Aragona, e per potersene disfare in modo pulito doveva ottenere dal papa il divorzio.

Il papa ovviamente gli mandò a dire che neppure lui poteva «sciogliere quel che Dio aveva unito». Il re allora, per trovare appigli giuridici e appoggi umani, si rivolse al suo cancelliere, che era Tommaso Moro, uomo dottissimo, grande umanista, letterato finissimo (è sua la celebre Utopia), eccellente giurista e, per di più, devotissimo al suo re. Ma in questioni moralmente così decisive la fedeltà e l’affetto non c’entravano. Tommaso lo fece subito sapere a Enrico: non era lecito porsi contro il papa e i comandamenti di Dio; essi andavano anteposti alla stessa fedeltà alla corona.

Il re, ferito nell’orgoglio e accecato dalla passione, dimenticò stima e amicizia, e fece imprigionare l’irriducibile cancelliere.

Al duca di Norfolk, che gli faceva osservare che «l’ira del re si­gnificava la morte», Tommaso rispose:

«Quand’è così io morirò oggi, ma voi morrete domani»

, come dire che, infranti i princìpi morali, tutto sarebbe stato possibile nel regno d’Inghilterra.

Rinchiuso nella Torre di Londra in attesa del processo, che si tenne il 1 luglio 1535, Tommaso aggiunse un’altra memorabile opera alle numerose già scritte, Il dialogo del conforto contro le tribolazioni, che è anche un capolavoro della letteratura inglese.

Condannato a morte, egli salì il patibolo con grande serenità di spirito, e con stile tipicamente inglese:

«Mi aiuti a salire il patibolo — disse al carnefice —, a scendere ci penserò da solo».

Dopo aver cantato il salmo Miserere, si bendò egli stesso gli oc­chi e poi chinò il capo sul ceppo. Era il 6 luglio 1535. La sua testa, infissa su un palo, venne esposta al ponte di Londra. Per poterla mettere lì, dovettero toglierne un’altra, quella del vesco­vo Giovanni Fisher, ucciso per le stesse ragioni una quindicina di giorni prima. Le dittature di ogni tempo e di ogni latitudine per sostenersi hanno bisogno di sangue e di morti.

Giovanni Paolo II lo ha proclamato patrono dei politici, se­gnalandone l’integrità morale, pronto ad anteporre i dettami della propria coscienza alla ragione di stato, anche a costo della vita. Un esempio e una guida per gli uomini politici cristiani dei nostri tempi e di quelli futuri che dovranno confrontarsi ogni giorno con situazioni di ingiustizia, convivere con leggi ingiu­ste, muoversi all’interno di una situazione sempre più ostile al mondo cristiano.


Tratto da: P. Lazzarin, Il libro dei Santi, Messaggero di S. Antonio editrice, 2013

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