Campo di Grano

Dar da mangiare agli affamati

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Vorremmo ora entrare nel vivo del discorso del «dar da mangiare», partendo certo dall’emergenza fame, denutrizione, morte per fame, ma collocandoci in un contesto più ampio. La fame produce un bollettino di guerra ben più atroce di quelli che con indifferenza metabolizziamo ogni giorno relativi a omicidi, stragi, terrorismo e guerre.

Tra le opere di Misericordia il «dar da mangiare agli affamati» evoca la beatitudine che più e più volte la Scrittura promette. Li si dice beati non perché hanno fame, ovviamente, ma perché vengono – verranno saziati. Questo della sazietà risolutiva che premia gli indigenti e lascia a bocca asciutta i ricchi e potenti è tema dell’antico testamento, prim’ancora che evangelico. Personalmente ne colgo la portata assolutamente rivoluzionaria, di sovvertimento delle regole politiche e sociali, nel Magnificat, là dove, appunto, Luca pone sulle labbra della madre del Signore esattamente le parole: «ha ricolmato di beni gli affamati» (cfr. Sal 107,9b). Il verbo in questione oscilla tra il saziare e il ricolmare, perché i beni hanno uno spettro più ampio del cibo. Resta però, nel percorso opposto riservato ai ricchi, l’aspettativa di un disegno altro, diverso da quello sin lì sperimentato. Che la fame abbia una valenza metaforica potrebbe suggerircelo la beatitudine matteana (cfr. Mt 5,6). In essa è esplicitamente evocata la sazietà, ma la fame e la sete sono riferite alla giustizia, e dunque a un ordine sociale diverso, quello del Regno di Dio, assolutamente inedito e nuovo.

LogoGiubileoMisericordiaQueste veloci affermazioni, come pure il rimando al loro entroterra, potrebbero avallare una collocazione al futuro del Regno di Dio e, dunque, potremmo anche supporre che la realizzazione della sazietà di cui si parla sia da porsi al di fuori della storia umana. Ma se al di là delle affermazioni forti percorressimo altrimenti il tema dell’aver fame e dell’essere saziati, ci troveremmo dinanzi non ad aspettative solamente innescate e a speranze chissà quando destinate a compiersi: Dio sazia davvero il suo popolo – si pensi alla manna e alla quaglie nel deserto; e Gesù di Nazaret sfama realmente le folle che lo seguono (cfr. Mt 14,13ss e par.).

Di sicuro – basta andare a Gv 6,26ss – la sazietà ultima, il pane che spegne ogni fame, sta al di là del pane miracolosamente offerto e condiviso, della fame sanata straordinariamente e con abbondanza. E, tuttavia, l’esperienza d’Israele – e delle folle che seguono Gesù – è quella di un’immediata risoluzione dell’aspettativa di cibo (e di bevanda). Gesù risponde a un bisogno legittimo e primario. Di più, ama stare a mensa con i suoi. Dar da mangiare agli affamati (non meno che apprezzare e gustare convivialmente il cibo) è imitazione di lui, e perciò dovere immediato di quanti il pane d’ogni giorno ce l’hanno.

Ma perché un pianeta che ha risorse per sfamare 9 miliardi di persone non riesce a sfamare i 7 miliardi di uomini e donne che lo abitano? È questa la domanda che dobbiamo farci. Ed è relativamente a questo fatto che dobbiamo chiederci da che parte stiamo: che cosa abbiamo fatto sin qui, che cosa facciamo o intendiamo fare nell’immediato. Non abbiamo davvero più molto tempo. Il modello che ci ostiniamo a perseguire porta alla catastrofe. Occorre cambiarlo e alla svelta.

La questione è ovviamente politica ed  economica. Le risorse alimentari ci sono, ma sono nelle mani di pochissimi. I fruitori immediati non sono né quelli che le producono, né quelli che abitano le zone dove vengono prodotte. Abbiamo inoltre innescato un’economia che, indirizzando la produzione in un certo modo, finisce con l’utilizzare le stesse derrate prodotte non per sfamare gli abitanti di questo o quel continente, ma per incrementare la produzione degli allevamenti e dunque per ottenere quantità sempre maggiori di carne, latte e così via.

Senza parlare del circolo vizioso ingenerato da un’alimentazione unidirezionale che incrementa nei paesi ricchi obesità e malattie che i paesi poveri non conoscono. Soprattutto però, ed è a questo che vorrei tornare, il problema è di risorse negate o di risorse rubate, nell’interesse di pochi che si arricchiscono sulla pelle di quanti una tale politica e una tale economia condannano alla morte.DellaRobbiaMangiareAffamati

Il dar da mangiare agli affamati non può davvero risolversi nel pranzo che a Natale offriamo ai nostri “poveri”, né nella esigua razione alimentare che generosamente migliaia di strutture solidali offrono agli affamati in tantissime parti del mondo. Dar da mangiare è un problema di giustizia, di ordine economico, di disegno politico che non può essere miope, ma deve essere solidale, lungimirante e, soprattutto, fraterno, planetario.

«L’ accesso al cibo, più che un bisogno elementare, è un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. Potrà diventare una realtà e una sicurezza, se sarà garantito un adeguato sviluppo in tutte le diverse regioni. In particolare, il dramma della fame potrà essere superato solo “eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioè di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello locale” (Caritas in Veritate, n. 27)». Così Benedetto XVI nel messaggio al Direttore della FAO in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione (16 ottobre 2009). E lo stesso messaggio avverte circa la necessaria modificazione degli stili di vita e dei modi di pensare; circa l’obbligo per la comunità internazionale e per le sue istituzioni di interventi più adeguati e forti. Si tratta di «favorire una cooperazione che protegga i metodi di coltivazione propri di ogni regione ed eviti un uso sconsiderato delle risorse naturali», salvaguardando i valori propri del mondo rurale e i fondamentali diritti di quanti lavorano la terra.

Come si vede l’intreccio è complesso: coltivatori, ridistribuzione dei campi, strumentazione idonea a coltivarli da una parte; dall’altra, rispetto dell’ambiente, identificazione e promozione delle colture idonee, condanna dello sfruttamento e dello spreco delle risorse umane come dei prodotti della terra… Certo, la fame non è solo il prodotto di un errato programma agroalimentare. È frutto della guerra, della povertà endemica, della disuguaglianza. È frutto di tutto ciò che dice prevaricazione sull’altro, disprezzo dell’altro, indifferenza all’altro: appunto, mancanza di fraternità solidale.

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Gennaio 2016 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

 

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