Stephen Hawking

Visitare gli ammalati

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Il tema della malattia si intreccia certa mente con quel «visitare gli ammalati» che di nuovo ci riconduce al Giudizio riportato nel capitolo 25 di Matteo e dunque è elemento di valutazione. Che cosa può significare per noi l’invito a visitare gli ammalati? Credo che innanzitutto comporti la presa d’atto dell’infermità che ci costituisce e segna il nostro limite. Visitare gli ammalati diventa così non soltanto attenzione all’altro, ma anche attenzione solidale che sgorga dalla comune condizione d’indigenza.

Siamo deboli, in condizione di debolezza. Lo siamo a partire dal nostro corpo, dalla parabola discendente che traccia con il tempo. Il privilegio d’averne consapevolezza è tutt’uno con la fragilità delle nostre membra che facilmente soccombono e hanno bisogno di cura. Gli slogan del nostro tempo ci invitano ad “aver cura di noi” e a “volerci bene”. Ma a rifletterci, se sono fallaci nella prospettiva unilaterale del corpo obbligatoriamente giovane e bello, non lo sono nella prospettiva del dovere a cui siamo tenuti: la cura, l’attenzione al nostro essere creature, alla carne di cui siamo fatti che è creazione di Dio.

LogoGiubileoMisericordiaIl corpo – si sa – è il grande assente del nostro pensarci in prospettiva di fede. Eppure la salvezza ci è data nel corpo e con il corpo. L’incarnazione, la passione e morte del Signore, la sua risurrezione hanno dimensione corporea; e corporea è la simbolica sacramentale che efficacemente ci connette al mistero di un Dio fattosi per noi carne. Visitare gli ammalati in qualche modo è adeguarsi alla sua visitazione. È prendersi sul serio nella dimensione del corpo, orizzonte comune di noi creature.

Certo, le forme avanzate di medicalizzazione che lo sviluppo scientifico ha prodotto sembrano quasi esonerarci dal dovere del visitare, almeno nelle forme che esso ha assunto in altre epoche. Eppure, il visitare non è mai superfluo, proprio a ragione di quella realtà complessa che noi siamo, necessitati a intrecciare la nostra vita con quella degli altri nel circolo tragico e felice insieme del nascere e del morire, e in esso del soffrire.

Oggi, mentre lo stato sociale – in crisi, come sappiamo – ha fatto propri individuandoli come diritti quelli che il cristianesimo ha vissuto come carismi-ministeri, sembrerebbe che dal visitare gli ammalati siamo esonerati. E in realtà, a meno che la malattia non ci colpisca da vicino, a meno che non si aderisca a forme peculiari di volontariato, la maggior parte di noi non si dà pena di visitare ammalati che ci sono estranei.

Tutto ciò rattrista, perché sul fronte della sofferenza perdiamo un’ultima chance di testimoniare davvero la fede. La perdiamo iscrivendo l’essere umano nella fatalità del soffrire, dimenticando che siamo stati creati per la beatitudine, per l’incontro gratificante e gioioso con il Signore. E non si tratta di evento obbligatoriamente posto al di là della nostra vita e della storia. La gioia – nome altro dello Spirito -dovrebbe caratterizzare l’orizzonte cristiano.

Visitare gli ammalati, ovunque si trovino e qualunque sia la malattia che li opprime, dovrebbe infondere loro la speranza di guarire; dovrebbe guidarli, pur nella sofferenza del corpo infermo, a percepirsi amati e perciò attivare in essi la capacità di avversare e vincere la malattia. Tanto più che l’esperienza della malattia prima o poi tocca tutti. C’è un circolo obbligato di reciprocità proprio nell’esperienza del dolore. E la visita, come farsi prossimo e solidale, è essa stessa metodica che incentiva la guarigione o rende sopportabile la malattia nella sua espressione cronica o terminale.

Occorre poi non dimenticare l’intreccio tra “corpo” e “anima”. E mi riferisco innanzitutto alla disperazione, al cerchio di solitudine in cui ci si trova inscritti, per debolezza propria, ma anche e soprattutto per diserzione altrui, per il venir meno della rete solidale. E oltre l’infirmitas della carne, vi è l’altra infirmitas, non meno dolorosa, dell’alienazione responsabile dall’umano, della fuga colpevole da Dio, della prevaricazione sugli altri.GhirlandaioInfermi

Siamo proprio sicuri che taluni mali che pure denunciamo non sgorghino dalla nostra incapacità come Chiesa d’aver testimoniato, promosso, confessato un cristianesimo nel segno della guarigione? Siamo proprio sicuri che ciò che ci ferisce e ci inorridisce non sia il prodotto di un’educazione sbagliata, di un disprezzo della carne che finisce con il farla sopravanzare? Siamo certi che l’aura sacrale al cui interno seguitiamo a collocare il ministero non abbia poi la sua parte nel fare di (pochi) soggetti onnipotenti, tale da infrangere le regole più sacrosante? Non c’è a monte una disinvolta condanna alla solitudine spacciata come esemplarità virtuosa?

Spesso ci riesce forse comodo insistere sulle forme vergognose del peccato per mettere in ombra altre colpe, non meno ripugnanti. Non è lussuria quella del potere? Perché non denunciamo con altrettanta forza la prostituzione al dio denaro, il fiancheggiamento di operazioni sporche? Perché sorvoliamo sull’ingiustizia, sullo sfruttamento, quasi che le regole, le leggi obbligassero solo gli altri? Come facciamo a tollerare le guerre, la fame, l’ignoranza, il razzismo, la misoginia? Come facciamo a disertare d’essere accanto a chi soffre, distratti da altre presunte priorità?

Sogno una Chiesa capace di assecondare il soffio risanatore e compassionato dello Spirito. Sogno una Chiesa che faccia scelte di campo coraggiose, che metta in corso progetti più vicini alle esigenze del Regno. Sogno una Chiesa coerente al suo essere “corpo”, ilare nella gioia delle sue membra, sofferente nel loro dolore, sempre testimone del mistero della carne, stoffa fragile del nostro essere al mondo, tessuto inconsutile della nostra salvezza.

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Maggio 2016 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

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