San Cristobal De Las Casas

Vedendo Papa Francesco in Messico mi sono ricordata del mio viaggio in quella terra

Domenica 3 Aprile viene distribuito il numero di Aprile del Giornalino Parrocchiale “In Cammino” (scaricabile a questo link: Aprile 2016 Anno XXX).

In questo numero:

  • Vedendo Papa Francesco in Messico  mi sono ricordata del mio viaggio in quella terra
  • Visitare i carcerati
  • Facciamo silenzio

Di seguito l’articolo di apertura:

Quello in Messico è stato un viaggio che ho fatto più di 25 anni fa  e mi è rimasto nel cuore.

Sono sempre stata affascinata dalla cultura Azteca e dagli indios, ma quando sono stata in Messico, il posto che mi ha davvero sorpresa e conquistata è stato il Chiapas e soprattutto San Cristobal de Las Casas. I colori bellissimi, sgargianti e variegati delle sue costruzioni, con il sole che le illuminava, sono ancora vivi nei miei ricordi. Non sono state le spiagge caraibiche a conquistarmi, ma le grandi piramidi Maya, misteriose ed  imponenti,  e  questa città meravigliosa, in cui si respirava un’aria diversa da qualsisia altra. Nella sua piazza centrale si affacciano edifici del ‘500 tra i quali molti sono ex-residenze dei conquistatori spagnoli. Sul lato settentrionale, invece, troneggia la Cattedrale del ‘700 dedicata a San Cristoforo, patrono della città,  tinteggiata in color giallo ocra e, alle spalle del Duomo si trova la Chiesa di San Nicolás, l’unica costruzione religiosa della città ad essere rimasta immutata dall’origine, sino ad oggi.

Qui più che altrove è chiaro il confitto di questa terra, il Messico,  che fu conquistata e assoggettata dagli spagnoli e in cui ancora oggi le popolazioni indigene vivono in estrema povertà. La maggior parte di esse non ha accesso all’acqua potabile,  sono spesso vittime del razzismo, faticano a trovare lavori dignitosi. Le loro tra dizioni e la loro cultura non sono riconosciute, le loro lingue non sono studiate in alcuna scuola riconosciuta dallo Stato. Per questo motivo la tappa di Papa Francesco mi ha particolarmente colpita. Ha infatti  deciso di andare nella periferia delle periferie: il Chiapas, zona dove i cattolici sono poco più del 50% e dove gli indios vivono una condizione di povertà ed emarginazione. In Messico ci sono più di 4 milioni di persone che parlano solo lingue precolombiane e che quindi sono a rischio esclusione ed emarginazione.

Il Santo Padre, fedele al suo ruolo di portavoce dei più deboli  e di promotore della Misericordia, in questo anno particolare, non poteva mancare di fare un gesto di grande significato verso questa etnia troppo spesso dimenticata.

Durante la sua celebrazione al cospetto di moltissimi indios, c’è stato un momento intenso di forte commozione, avvenuto durante la supplica dei fedeli, pronunciata in lingua locale da un rappresentante indio, che ha usato toni incalzanti quasi piangendo, ponendo così l’accento sui drammi subiti dalla propria gente. Durante questa supplica i tanti indios presenti alla messa, ascoltavano a capo chino, in ginocchio, con le mani sul viso o sul capo. Il Papa ha ascoltato, a sua volta, in assorto raccoglimento, si è creata così una forte comunione tra loro ed il Santo Padre. Nell’omelia, Papa Francesco ha poi ripetuto, in lingua indigena: «Li smantal Kajvaltike toj lek» -La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima-. Aggiungendo poi: «In molte forme e molti modi si è voluto far tacere, cancellare questo anelito, cercando così di anestetizzare gli animi, pretendendo di mandare in letargo e addormentare la vita dei nostri giovani, con l’insinuazione che niente può cambiare, o che sono sogni impossibili.››

«Molte volte, in modo sistematico e strutturale – ha continuato il Papa – i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura e le loro tradizioni. Che tristezza! Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a chiedere perdono! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi! Mentre i giovani, esposti a una cultura che tenta di sopprimere tutte le ricchezze e le caratteristiche culturali inseguendo un mondo omogeneo, hanno bisogno che non si perda la saggezza dei loro anziani! Il mondo di oggi, preso dal pragmatismo, ha bisogno di reimparare il valore della gratuità!». Parole queste che toccano tutti noi, non solo gli indios del Chiapas.

Al termine della celebrazione un rappresentante delle comunità indigene ha ringraziato jTatik Francisco: «Grazie per averci fatto visita, nonostante molte persone ci disprezzino, tu hai voluto venire qui e ci hai preso in considerazione, come la Vergine di Guadalupe ha fatto con san Juan Dieguito. Portaci nel tuo cuore, con la nostra allegria e con le nostre sofferenze, con le ingiustizie che patiamo. Anche se vivi lontano, a Roma, ti sentiamo molto vicino a noi. Tante grazie per aver autorizzato l’incarico del diaconato permanente indigeno con la sua propria cultura, e per aver approvato l’uso delle nostre lingue nella liturgia».

Il Papa si è poi recato nella Cattedrale di San Cristobal de Las Casas dove ha pregato sulla tomba del vescovo Samuel Ruiz García, morto nel 2011, un pastore che ha guidato la diocesi per 40 anni, considerato il fondatore della chiesa indigena del Chiapas.

Ora, grazie a Papa Francesco, ho capito perché avessi amato così tanto quel posto. La sofferenza era viva tra quelle case colorate e quei visi stanchi, ma fieri, di chi deve lottare ogni giorno, per essere considerato uguale, o peggio, degno si considerazione. Eppure, nonostante ciò, su quei volti più che amarezza c’erano sorrisi, non sono infatti loro che devono amareggiarsi, né chiedere perdono, siamo noi, come ha fatto il nostro Papa, che dovremmo farlo, per renderci degni di essere chiamati cristiani, perché gli ultimi, chiunque essi siano, e in qualunque parte del mondo essi si trovino, dovrebbero essere i  fratelli a noi più cari.

Monica Detti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *