Natività

Il primo sguardo di Gesù…

A Natale, infatti, non dovremmo
sorprendere l’altro
con l’ostentazione della ricchezza
o della stravaganza,

né stordirlo con l’eccesso,
bensì stupirlo
e confermarlo con l’amore,

l’affetto, l’attenzione
che non sempre nel quotidiano

trovano il tempo e il modo
di essere esplicitati.

Enzo Bianchi

Nella contemplazione del Presepe scopriamo la nostra “quotidianità” da riempire con la presenza di Dio.

Regaliamoci la lettura di questo bel racconto di Bruno Forte, per provare a riconoscere e vivere la presenza di Dio nelle vicende di ogni giorno.

 

 

 

 


Il bambino aprì gli occhi svegliandosi da un sonno profondo. Per la prima volta gli apparve in maniera distinta la scena del mondo in cui era venuto ad abitare: dopo un’iniziale impressione di luce soffusa, le varie figure che lo circondavano si andarono precisando l’una dopo l’altra, man mano che posava su di loro il suo sguardo. La prima immagine che fu in grado di cogliere era quella di un bellissimo volto dì donna, così bello che non lo avrebbe mai più dimenticato.

Era un volto sorridente, di un sorriso tenero e assorto, atteggiato a un amore infinito, come nell’atto di mandargli un piccolo, dolcissimo bacio. Era il volto della sua Mamma: lo riconobbe subito, anche se prima non lo aveva mai visto (quando si sta nel grembo quel volto lo si sente, lo si immagina per misteriosi legami d’amore…). Si sentì inondato di tenerezza e di attenzione: qualcosa gli ricordava l’esperienza di uno sguardo antico, che da sempre lo aveva contemplato e amato. Ora, però, non era Io sguardo del Tu divino con cui aveva dialogato da sempre, come giocando nel “seno del Padre” (cfr. Giovanni 1,18): ora era diverso. Si trattava di uno sguardo umano, uno sguardo di donna, che lo riempiva di dolcezza e di gioia. Pensò che era bello essere uomo se questo significava avere una madre. Una madre, si disse, ti guarda come nessuno saprà mai guardarti: ti legge dentro, anche se tu sei il Figlio di Dio. Il suo sguardo ti accarezza, e al tempo stesso ti entra nell’anima, ti inonda il cuore di pace, ti fa sentire accolto in una tenerezza infinita. Pensò che non a caso la lingua del suo popolo – il popolo dell’elezione e dell’alleanza – aveva chiamato l’amore divino con la parola che designa le viscere materne – rachamim: sì, non c’è immagine più precisa per raccontare la gratuità pura e fedele dell’amore eterno! Dio è Madre: nel suo cuore di Bambino questa intuizione fu di un’evidenza assoluta, come una luce che avrebbe illuminato per sempre le sue parole e i suoi giorni.

Sorrise a sua Madre, ed ella ricambiò il sorriso con un nuovo sorriso, più largo e profondo del primo: il bambino non poté fare a meno dì pensare che quello doveva essere il sorriso di tutte le mamme del mondo, un sorriso di donna trasfigurato dalla grazia inimmaginabile della maternità. Fu allora che un velo di tristezza attraversò il suo cuore: pensò ai dolori di tutte le mamme della terra, e a tutte quelle volte che il loro amore umile e fedele è calpestato, ignorato, perfino disprezzato dai figli degli uomini. Avvertì una grande ammirazione per tutte le donne, e gli parve un segno lacerante del peccato originale il fatto che tante di esse nella storia dell’umanità siano state umiliate e sfruttate, dimenticate e offese, usate e abusate dalla violenza degli uomini. Pensò che forse, per questo, l’Eterno Io aveva voluto in una carne maschile, perché potesse farsi carico dì tutte le colpe che gli uomini sono stati in grado di commettere contro le loro madri, le loro donne, le loro compagne in umanità. Facendosi uomo, il Figlio di Dio veniva ad assumere il peccato del mondo, e quel volto del peccato – il primo che gli apparve – gli sembrò subito già così pesante.

Ma il sorriso di lei, che continuava a guardarlo, meditando nel suo cuore pensieri di luce e d’amore, bastò per dargli di nuovo un senso di pace: nonostante il male che devasta la terra e il disordine da esso portato nei rapporti fra le creature del mondo, non può non esserci una riserva di bene nel cuore di tutti i figli di donna, se almeno una volta essi sono stati raggiunti dallo sguardo sorridente di una madre…
Una asticella fiorita alla sua sommità attirò a quel punto il suo sguardo di bambino: era un bastone, un curioso bastone fiorito. Pensò subito – ma fu solo una delicata incursione della sua onniscienza divina nel cammino della sua coscienza dì uomo-bambino – che quel tocco di grazia sulla cima del pezzo di legno sottile e allungato, che Giuseppe stringeva fra le mani nodose, era stata una deliziosa trovata dei Napoletani e del loro presepe barocco per dire la loro simpatia e tenerezza verso il suo affettuoso Padre putativo.

Un uomo giusto, Giuseppe: lo si capiva dalla profondità dello sguardo, dalla meraviglia pensosa con cui contemplava quel suo bambino non suo. Un uomo capace di credere nell’impossibile possibilità dell’amore divino. Uno di quei giusti che fanno la gloria d’Israele e la sua salvezza: e se Giuseppe non avesse creduto? Se si fosse lasciato prendere dalla pretesa – in fondo così umana – dì avere un figlio suo, tutto e solo suo? Il Bambino rabbrividì per un istante: si sentì già addosso le pietre che sarebbero state gettate sul corpo gravido di sua Madre, lapidata per adulterio… Meno male che Giuseppe aveva creduto, pensò subito con un sospiro di sollievo: e non poté fare a meno di immaginare quanto male si sarebbe risparmiata la terra se di giusti ce ne fossero stati di più di quanto di fatto ce ne sono stati.

Essere giusto significa credere nella debolezza di Dio e delle sue vie: davanti all’odio, rispondere con il perdono e l’amore; davanti all’offesa, cercare la giustizia per tutti, rifiutando le armi della vendetta e delle risposte di forza; davanti alle presunte sicurezze del potere e della ricchezza, preferire l’apparente debolezza della non violenza, scegliendo il povero come pietra di paragone per la costruzione di un mondo migliore. Povero Giuseppe, venne da pensare al Bambino, quanto dovrà soffrire nella storia del mondo! Quanti Giuseppe saranno calpestati, ignorati, vilipesi, quanti resteranno inascoltati anche quando grideranno ad alta voce quello che la coscienza di tutti, rettamente ascoltata, non cessa di dire a ciascuno! Eppure, senza un Giuseppe non ci sarebbe stato lui, il Bambino: e senza di lui non ci sarebbe stata speranza di un mondo migliore! Grazie, Padre mio putativo, mormorò fra le labbra senza che nessuno potesse capire quel piccolo gemito, grazie di esserci con la tua discrezione, con la tua fede, con il tuo sogno di uomo giusto incapace di fare del male. Grazie perché è mediante uomini come te, esperti dell’impossibile, che il mondo continua a esistere: e sarà grazie ai giusti nascosti che il deserto del mondo fiorirà quando meno te l’aspetti o quando tutto sembrerà negare le ragioni della speranza. Gli innocenti hanno fatto le cose impossibili perché non sapevano che erano tali!

Un muggito distrae il Bambino da questi pensieri: con il loro “physique du rôle” un bue e un asinello attraggono la sua attenzione. Sono lì in rappresentanza del mondo animale: oltre a questo titolo onorifico, hanno però anche un compito molto pratico, quello di essere l’unico impianto di riscaldamento della grotta, altrimenti non troppo ospitale.

Il Bambino, raggiunto dal loro fiato caldo e avvolgente, non può fare a meno di provare un senso di gratitudine per quelle povere bestie: in fondo, nel disegno originario del Creatore, prima che l’uomo rovinasse tutto con il suo peccato d’orgoglio, uomini e animali erano chiamati a vivere insieme, in una sorta di beata complicità, che aiutasse ciascuno secondo il suo ruolo a servire il bene di tutti. Pensò a quanta responsabilità grava sulle scelte degli uomini anche in rapporto alla grande casa del mondo, e si rese conto di essersi fatto uomo anche per questo, per ristabilire un patto di pace fra gli esseri umani, il mondo animale e la natura intera. Un giorno tutto questo si sarebbe chiamato responsabilità ecologica: ma lì, in quella stalla, era un’esperienza immediata di fraternità umana-divina-animale, che piaceva al Bambino e gli faceva ricordare l’Eden perduto e promesso. Non era venuto in questo mondo anche per restaurare il giardino dell’inizio? E non era la sua missione fra gli uomini anche quella di convertirli a un diverso rapporto con gli animali e le cose, fatto di rispetto, sobrietà, e perfino amicizia?

Con una nuova, rapida incursione della sua onniscienza divina, non poté fare a meno di pensare a chi – pochi in verità – nella storia avrebbe capito il messaggio: e gli sembrò che san Francesco entrasse per un attimo nella grotta a far parte di quel primo presepe, che a partire da lui sarebbe stato imitato in tante case del mondo! Gli venne poi da chiedersi – strani pensieri di un Dio bambino! – per­ché fossero proprio quei due fra tanti animali a stare accanto a lui nella grotta della sua nascita: come se gli avesse letto nel pensiero, sua Madre cominciò a raccontargli una storia, proprio come quelle che tutte le mamme del mondo raccontano ai loro bambini. «Mentre con Giuseppe eravamo in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò gli animali di ogni specie per scegliere quelli adatti ad aiutare la nostra famiglia. Per primo si presentò il leone: “Solo un re è degno di servire il Re del mondo – disse -. Io sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!”. “Sei troppo violento” disse l’angelo. Subito dopo si avvicinò la volpe. Con aria furba insinuò: “Io sono l’ani­male più adatto. Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!”. “Sei troppo disonesta”, disse l’angelo. Passarono, uno dopo l’altro, tanti animali, ciascuno magnificando il suo dono. Invano. L’angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene. Vide però che l’asino e il bue continuavano a lavorare con la testa bassa nei pressi della grotta. L’angelo li chiamò: “E voi che avete da offrire?”. “Niente’’, rispose l’asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie: “Noi non abbiamo imparato altro che l’umiltà e la pazienza!”. Il bue, timidamente, soggiunse: “Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code”. L’angelo finalmente sorrise: “Voi siete quelli giusti”». Anche il Bambino sorrise: la spiegazione lo aveva convinto, e sentì che sarebbe stato accolto nel mondo proprio da quelli che come il bue e l’asinello hanno imparato dalla vita l’umiltà e la pazienza dei forti…

Stava ancora beandosi in questi pensieri, quand’ecco qualcuno bussò alla porta della stalla: aperta la porta, apparvero nella luce rossastra dell’alba tre figure splendide, i cui costumi tradivano un’origine lontana.
Il Bambino sembrò divertirsi a questo improvviso spettacolo: era come se la vasta scena del mondo venisse a presentarsi tutta insieme alla sua mente di piccolo Salvatore. Nell’adorazione sincera con cui i tre si accostarono a lui, sentì che la sua vita e la sua missione erano veramente universali: sì, era venuto per tutti, proprio per tutti, per qualunque popolo, nazione o cultura appartenessero.

Fratello universale, era venuto per suscitare nel cuore degli uomini l’universale senso della fraternità: si sentì intenerito da questa notizia da annunciare al mondo, che cioè Dio è Padre e Madre di tutti e che gli uomini sono tutti fratelli! Né poté fare a meno di sentire nel suo cuore di bambino come una fitta lancinante pensando a tutti quelli che per ignoranza o stupidità, per calcolo o interesse avrebbero voluto dividere gli esseri umani nelle categorie contrapposte dei buoni e dei cattivi, dei “nostri” e dei “loro”, dei puri e degli impuri: si immedesimò come di colpo in tutti gli immigrati, i clandestini, i perseguitati, gli umiliati e offesi della storia dell’umanità. Sono loro il mio volto, pensò: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Matteo 25,35s). E vide il volto di sua Madre sorridere, quasi ammiccando in una segreta complicità con questi suoi pensieri di divino Bambino: pensò che in quanto Madre sua, quella donna dal volto dolcissimo sarebbe stata la madre di tutti i suoi fratelli, la madre di tutti. E fu contento di aver già da subito acquisito una Madre per tutti: gli sembrò, anzi, che gli angeli roteanti intorno alla grotta per cantare la gloria di Dio e la pace agli uomini che Egli ama, facessero festa proprio in particolare a questa notizia che tutti avranno ormai una madre, perché tutti hanno lui per fratello e redentore di tutti. Sentì che era bello, che era veramente Natale: e si addormentò dolcemente, cullato dal canto degli Angeli e dal sorriso bellissimo e assorto di Maria…

Terra d’avvento Vergine Maria,
grembo tu sei
del grembo d’ogni cosa,
donna, che tutto ricevi
e tutto dai,
Madre, in cui inizia
l’alba della Gloria.
Tu sei Colei
in cui la nostra storia
allora, come oggi,
a Dio si apre,
e da Lui accoglie
in umiltà
il dono.
In te dimora
la tenerezza del Dio
tre volte Santo,
in te ci è dato il segno
della speranza
più forte della morte,
in te il riflesso dolce dell’amore,
cui solo ognuno
può affidare il cuore.

 


Il racconto “Il primo sguardo di Gesù” è tratto da: Bruno Forte, Santo Natale, San Paolo 2006

Bruno Forte (Napoli, 1 agosto 1949) autore di numerose pubblicazioni di teologia, filosofia e spiritualità, assai note anche a livello internazionale. Dal 26 giugno 2004 è arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto.

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