Tendopoli

Alloggiare i pellegrini

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Le parole di Mt 24,35: «ero forestiero e mi avete ospitato» e la domanda su quando ciò sia avvenuto (Mt 24,38) ci riconducono al “dramma” del Giudizio finale. In verità, l’essere per un verso forestieri / stranieri / pellegrini e il corrispettivo dovere d’accoglienza scandiscono tutta intera la storia della salvezza. Disegnano l’identità dello stesso popolo di Dio, prim’ancora che il suo dovere verso gli altri. La nostra attenzione all’ospitare i pellegrini parte dunque dalla presa d’atto che noi stessi, popolo credente, siamo nient’altro che uomini e donne in viaggio, in cammino sempre. Stranieri nella dispersione (secondo l’inizio della 1 Pietro); nel mondo, ma non del mondo (secondo il vangelo di Giovanni); popolo di Dio peregrinante (secondo la lettera agli Ebrei). Dunque, umanità in cammino per le vie della storia, umanità salvata che incede verso Cristo che torna, connaturale al mondo e al creato secondo il paradigma dell’incarnazione e tuttavia protesa verso una meta altra, quella della compiuta divinizzazione.

Chi è lo straniero/forestiero? Chi è il pellegrino? I primi due termini indicano un soggetto estraneo, prossimo e antagonista a un certo gruppo socio-culturale, presso cui questi pur abita per necessità o per scelta. Il pellegrino, invece, è mosso dal desiderio d’accostare una presenza, di visitare una memoria, di farsi prossimo fisicamente nello spazio (e nel tempo) a qualcosa/Qualcuno che un certo contesto gli rende particolarmente o immediatamente fruibile.

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Penso che come opera di Misericordia l’«alloggiare i pellegrini» sia germinato nel contesto religioso del pellegrinaggio, in tempi in cui muoversi era tutt’altro che facile. Accogliere i pellegrini era perciò considerato un dovere religioso, sia che ad assolverlo fossero strutture a ciò deputate – gli ospizi, nelle diverse forme – sia che riguardasse la carità di singoli, sedotti e ammirati dell’audacia di un incedere periglioso e pio.

Intendiamoci: il pellegrinaggio ha sempre avuto aspetti ambivalenti, sia soggettivi sia oggettivi. Non sempre il motivo del peregrinare è stato autenticamente “religioso”; né “religiosa” è stata la meta, troppo spesso amplificata per effetto d’una fede ingenua di fedeli sprovveduti.

E tuttavia nell’accoglienza dei pellegrini ha trovato eco quel codice d’ospitalità che nel mondo antico faceva del viandante o dello straniero un soggetto “sacro”, proteggendolo da prevaricazioni e da violenze; un codice di reciprocità che segnava l’ospite e l’ospitante (donde il symbolon, la moneta spezzata che avrebbe consentito la reciproca memoria e il reciproco riconoscimento). E di testimonianze belle, gratuite, il mito e la tradizione ce ne hanno offerte tante. Si pensi a Ulisse e al suo girovagare mediterraneo o, con evidente salto di qualità, all’ospitalità d’Abramo, paradigma in senso alto dell’accoglienza dell’Altro, nell’intreccio conviviale di sosta benefica e benedicente, in reciprocità amicale, gioiosa anticipazione di pienezza futura.

Ai nostri giorni però i pellegrini sono ben irreggimentati e i pacchetti di viaggio commisurati alle loro risorse. Parliamo persino di turismo religioso.

Il discorso perciò si sposta sullo straniero. L’opera di Misericordia diventa contigua a un problema ecclesialmente e politicamente nuovo, benché socialmente arcaico: quello dell’immigrazione. E, si badi bene, oltre l’ovvio ridire ciò che la cattiva politica mette in circolo, il nodo per noi è strutturale al nostro vivere e professare la fede.

Il Dossier Statistico Immigrazione della Caritas/Migrantes (mi riferisco ai dati dell’ottobre 2009) ci informava che i residenti di origine straniera erano in Italia 1 su ogni 14 abitanti. Le previsioni spostano il rapporto a 1 su 6 nel 2050. Il fatto che ci riguarda, al pari di altre nazioni europee, attesta una tendenza strutturalmente irreversibile.

La nostra storia millenaria ci sa popolo accogliente, presso il quale hanno bussato con le buone e con le cattive, instaurando originali forme di integrazione e convergenza, uomini d’altra lingua e di altre fedi.OspitaliàAbramoSanVitale-particolare

Che mai vuol dire “extra-comunitario”? Extra, “fuori” di che? della comune umanità? E che mai vuol dire “clandestino”? Nascosto a chi, se non a “inesperti d’umanità”? Come si può far diventare reato l’essere costretti a lasciare la propria terra e la propria famiglia?

Occorre davvero rendersi conto quanto egoismo diventato legge e misura giustifichi il porsi della “questione” nella sua rilevanza sociale, tacendo le responsabilità di una mancata accoglienza e integrazione.

Non dimentichiamo che la corrente migratoria non è solo attivata dalla ricerca di un futuro migliore. Tanti, tantissimi cercano presso di noi dignità e libertà, diritti umani negati. I loro corpi spesso sono marchiati a fuoco, la loro psiche è irrimediabilmente segnata a motivo di una scelta politica controcorrente, del sesso marginalizzato e sfruttato, dell’etnia d’appartenenza vessata da quella dominante. Ebbene dinanzi a tutto ciò come opporre un rifiuto?

Ci chiudiamo nel nostro benessere (?!) egoista e supponente. Neghiamo all’altro/altra la dignità cui ha diritto ogni persona umana. Anziché politiche di integrazione e cittadinanza offriamo disprezzo. Mettiamo alla gogna gli “altri”, li irridiamo nella fede altra, nel vestire altro, nel parlare altro, nella concezione di vita altra, a cui peraltro non offriamo un’alternativa cordiale di incontro e verifica, senza avvertire che il tarlo del fondamentalismo, dell’identità rivendicata a ogni costo, può diventare un boomerang devastante e destabilizzante.

Certo, l’integrazione ha le sue regole di rispetto reciproco e di assunzione valori comuni. Ma proprio questa è la sfida.

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Marzo 2016 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

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